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Diritto al lavoro nocivo?

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A Taranto è stato recentemente dichiarato ammissibile un referendum cittadino consultivo (quindi non vincolante) sulla chiusura degli stabilimenti ILVA. Come sempre accade nei conflitti tra salute pubblica e posto di lavoro, l'iniziativa dirimente "o di qua o di là" sta creando non poche polemiche.

Alcuni operai dell'ILVA hanno scritto una lettera aperta in cui minacciano di occupare la città se il referendum dovesse per caso vedere vincitrice la tesi della chiusura [1].

I partiti di sinistra sono in evidente e ovvio imbarazzo: se parliamo di più di 10.000 addetti nello stabilimento e circa 30.000 in totale compreso l'indotto, a 3 persone per famiglia parliamo della metà esatta della città. Nessun partito sarebbe mai favorevole, men che mai un partito di sinistra - o che comunque si rivolgesse ai ceti popolari.

Eppure tutto questo discorso del "diritto al lavoro" mi lascia perplesso da un pò di tempo. Di più: a me sembra una colossale mistificazione.

Non esiste un "diritto al lavoro". Battersi per avere "diritto ad un lavoro" significa in effetti pretendere che delle catene ti siano ferrate ai polsi. Significa battersi per un lavoro purchessia, anche se nocivo per te e per altri. E probabilmente ti daranno sempre il lavoro peggiore - e il più nocivo, perché i padroni (siano essi padroni di ferriere o padroni di poltrone ministeriali) sono comunque abituati alla acquiescenza dei miserabili.

Il concetto di "diritto al lavoro" tende inoltre a deviare continuamente il pensiero del cittadino dai necessari obiettivi a lui favorevoli (difficili perché "radicali") verso una modalità di assoluta identificazione e riconoscimento dello status quo.

Pensiamo solo ad esempio, se fosse vera la tesi secondo cui il ritardo storico dell'Italia nel diritto alla casa potrebbe forse essere affrontato solo con espropriazioni, e tutti ci si stesse invece battendo per avere una grossa multinazionale a Taranto.

Se a me però non sembra molto utile il concetto di "diritto al lavoro", a mio parere esiste invece ed è potente il "diritto ad una libera e dignitosa esistenza", ossia il diritto ad un reddito minimo esistenziale o di cittadinanza che dir si voglia.

E che vada naturalmente accompagnato al "dovere di adempiere alla propria quota parte di lavoro socialmente necessario" perchè tale minimo sia realizzato.

Così Kropotkin scriveva nel XIX secolo [2]: "Il diritto all'agiatezza è la possibilità di vivere da esseri umani, e di educare i figli per farne dei membri uguali di una società superiore alla nostra, mentre che il «diritto al lavoro» è il diritto di rimaner sempre schiavo salariato, l'uomo di fatica, governato e sfruttato dal borghese di domani. Il diritto all'agiatezza è la uguaglianza sociale; il diritto al lavoro è tutto al più un reclusorio industriale".

Chi ha studiato l'argomento sostiene che molti posti di lavoro sarebbero necessari nella bonifica del territorio. Si obietta giustamente che sarebbero necessarie ingenti risorse per la bonifica.

Mi permetto di segnalare che senza dubbio importanti finanziamenti europei potrebbero entrare in gioco, e che se si chiudessero l'ILVA di Taranto e le centrali a carbone ENI di Brindisi l'Italia produrrebbe ben 25 milioni di tonnellate di CO2 in meno ogni anno - e di conseguenza risparmierebbe le consistenti multe altrimenti dovute per lo scandaloso sforamento dei parametri di Kyoto.

Per quanto riguarda come impiegare la popolazione una volta terminati i lavori di bonifica, ho qualcosa in mente - che riguarda l'impiego di tecnologie a emissioni zero applicate all'agricoltura e zootecnia [3], che permettono produttività di assoluto rilievo; ma sicuramente in assenza di bonifica ben poco di ciò potrebbe essere realizzato.

[1] Tarantosera, 8 Nov. 2009: "Gli operai pronti alla protesta"

[2] dal sito del Ponte della Ghisolfa, Milano - Pietro Kropotkin: "La conquista del pane"

[3] Zero Emission Research Initiative

Continua a leggere "Diritto al lavoro nocivo?" sul mio blog


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